Per noi della SRC è un onore che sia lui il coordinatore didattico, perché lo stimiamo sommamente. Ha interpretato Sor Ottorino Santucci, un personaggio, che, a chi è stato al cinema di recente, suonerà familiare.

Sor Ottorino è il suocero di Delia nel film di Paola Cortellesi al suo debutto da regista, “C’è ancora domani” lui è Giorgio Colangeli il nostro coordinatore didattico. A lui che ha iniziato questo mestiere quasi per caso e che ha raggiunto il successo con pazienza, a teatro e nel cinema, abbiamo chiesto di raccontarci il suo percorso fino a oggi, fino a Sor Ottorino, personaggio sul quale non potevamo lasciarci sfuggire la possibilità di soffermarci proprio con lui che l’ha interpretato. Spesso per fare l’attore non devi esserci nato, non devi voler subito arrivare alla ribalta, ma crederci e non smettere mai di studiare e recitare. Proprio come ha fatto lui, con passione e pazienza.

Chi è Giorgio Colangeli?

Sono un attore partito da molto lontano. Non sono stato attore da subito, anzi lo sono diventato quasi per caso. Era il 1974, mi ero appena laureato in fisica, in attesa di espletare il militare un mio amico mi coinvolse in uno spettacolo amatoriale. Alla ricerca di un locale dove fare questo spettacolo conosco la compagnia del Teatro Didattico Il Torchio che faceva spettacoli con i bambini.

Il settore in quegli anni era fervido. Per me è stato un periodo importantissimo che a dire il vero ricordo e porto con me nella mia carriera, perché recitare per ragazzi vuol dire stare attento a quello dici, a quello che dai e ricevi. Loro o sono interessati oppure no e lo capisci subito.

Ho continuato con la Compagnia del Torchio fino all’82 e intanto insegnavo anche fisica. Nella stagione ‘82-’83 passo al teatro tout court e partecipo a diversi spettacoli con la regia di Antonio Calenda.

Nel 1989 partecipo all’Aria del Continente con la regia appunto di Antonio Calenda. Tra gli attori c’erano i meravigliosi Pietro De Vico e Anna Campoli, ma il manifesto annunciava “L’aria del Continente” con Nino Frassica. Protagonista assoluto un debuttante che però la tv aveva reso popolare con programmi come “Quelli della notte” e “Indietro tutta”. È stato lì che mi sono detto: se rimango a fare solo teatro non diventerò mai famoso. Ho trovato un agente per il cinema, ma fino al 2003 ho continuato a fare solo teatro. In quell’anno rinuncio a partire in tournée per rendermi disponibile ad eventuali scritture nel cinema, anche perché il mio agente mi aveva detto “Giorgio se tu continui a partire io non so come farti entrare nel cinema”. Entro nel cinema e nel 2006 con “L’aria salata” di Alessandro Angelini vinco il Marc’Aurelio alla prima edizione della Festa del Cinema di Roma e nel 2007 il David di Donatello, sempre per lo stesso film.
Questi due premi mi hanno aperto la carriera nel cinema, in televisione. A teatro sono tornato con spettacoli sperimentali e anche con testi classici e grandi allestimenti.

È da poco uscito C’è ancora domani il debutto alla regia di Paola Cortellesi. Come ha vissuto il suo personaggio?

Mi sono trovato molto bene con Paola, che stimo come attrice, come persona e come regista. Un’attrice-regista generosa quando dirige i suoi colleghi e colleghe. Quanto a Ottorino io recito spesso ruoli negativi, ma li abbraccio senza giudicarli perché solo così, interpretarli riesce ad essere una liberazione, una simulazione terapeutica.

Questo film confesso mi ha fatto pensare ai miei genitori, alle famiglie di una volta. Valerio Mastandrea e Paola Cortellesi si chiudono in camera e non sappiamo cosa succede. È una scena che io ho visto tante volte a casa mia, sempre sperando che fosse mia madre a darle a mio padre, perché mia madre a noi ci menava, eccome se ci menava.

Un tema fondamentale del film è la condizione della donna nella società e nella coppia, allora, ovviamente, e anche oggi. Cos’è cambiato? In superficie molto, ma nel profondo molto poco. “Tu sei mia!” è amore o possesso? Ancora oggi è difficile distinguere.

Perché sostiene la Scuola di Recitazione della Calabria?

Prima di tutto per il suo fondatore e Direttore, Walter Cordopatri. L’ho stimato da subito, come persona e come attore e poi per la nobile scelta di radicarsi nel paese d’origine e dare un’opportunità ai giovani. Tanta gente che deve andare fuori, uscire dalla Calabria per imparare a fare questo lavoro. Con la Scuola ha la possibilità di restare.
E per chi viene da fuori la Scuola dà la possibilità di scoprire e vivere una Calabria diversa.

Quale consiglio darebbe a chi vuole fare l’attore?
Cosa direbbe di mettere in valigia a un/una giovane che vuole intraprendere questa carriera?

In valigia metterei due cose: la consapevolezza che una Scuola di recitazione è comunque una Scuola. Una Scuola di vita, che ti rende spettatore critico e cittadino consapevole anche se non farai l’attore. Se farai l’attore metterei in valigia l’abitudine all’allenamento. Soprattutto oggi, dove è facile trovare ragazzi e ragazzi che improvvisandosi dietro la camera di un telefono costruiscono personaggi che funzionano e pensano che basti questo per dire sono attore o attrice. Fare l’attore è un mestiere che va imparato, l’asticella la metti tu e sei tu che la alzi perché c’è una vocina che ti dice “puoi migliorare, fai qualcosa di più!”